Teatro

Don Chisciotte, senza esagerare

Don Chisciotte, senza esagerare

Da un’idea di Paolo Migone e con Marco Marzocco, curioso spettacolo al Teatro Ciak dove, fino alla fine di aprile, due comici che non avresti mai pensato potessero lavorare assieme si sono uniti per presentare un “Don Chisciotte, senza esagerare…”. Mi sono fatta dire da entrambi come mai hanno scelto un capolavoro della letteratura spagnola e ho scoperto che bisogna osservarli con attenzione. Voglio dire: si presentano sul palco in modo inizialmente confuso, via via sempre più poetico, infine decisamente surreale. Poi c’è un’interruzione che mostra come stanno solo recitando e che noi guardiamo degli attori, decisamente scalcinati, che fanno uno spettacolo. Quindi rientrano nella parte e vanno avanti con lo show, ma ormai l’effetto Trouffault esiste. Quando in altri momenti dello spettacolo ci saranno interruzioni, sappiamo che significa. Eppure, Paolo Migone sembra Don Chisciotte più di quanto non voglia… o lo vuole? Perché avete fatto un Don Chisciotte così? (Paolo Magone) Se ti riferisci alla difficoltà di somigliargli, che non riesco sempre a sembrare lui, è perché il mio Sancho è troppo pratico e i miei voli fantastici non sono così riusciti. Marco ha un grande talento ma alle volte mi sembra che parli troppo, il che rischia di spezzare la magia di certi silenzi, che a me piacciano molto. (Marco Marzocca) I momenti d’incertezza iniziale sono voluti perché volevamo fare una nostra rivisitazione di due personaggi che sentiamo molto vicini alla nostra natura. Io sono materialista, pignolo e come Sancho mi occupo delle cose da fare, mentre Paolo è più sognatore. Ma Cervantes non è un testo così facile. Credete lo conoscano in molti? (Paolo) Francamente non credo, però tutti sanno chi è o hanno letto la storia da piccoli, magari non il testo integrale. Io ho sempre amato questa storia. Volevo cimentarmi con un testo teatrale diverso, che non fosse più solo il cabaret delle battute. Temo mi sia venuta la sindrome di Abantatuomo. Prima ci si è arricchiti col cabaret poi, con la pancia piena, sono venute le ambizioni di fare cose più alte. Non credo che sia così difficile, come dicono alcuni. (Marco) Non ci atteniamo all’originale: noi indossiamo i loro panni e non è che ci vogliamo dare le arie di grandi attori di teatro. Anche se siamo attori, io di fiction e programmi comici in TV, lui di teatro, ha fatto Zelig, ha anche danzato. Questo è un work in progress e continua a cambiare. Quindi ci tenevate, l’avete studiato a lungo? (Paolo) Sì e all’inizio avevo scelto come partner Paolo Cevoli ma lui non mi ha seguito perché ha detto che col teatro non si guadagna niente e aveva ragione. Spesso andiamo in rosso, addirittura. Ho speso una fortuna nella produzione e per arrivare fino a qui. Ora dobbiamo capire se continuarlo, perché abbiamo dovuto lavorare gratis tutto l’inverno. I problemi di cui parliamo in scena stanno diventando veri. Ma io ho un temperamento molto romantico e il Don Chisciotte mi piace talmente tanto che sono disposto a vedere il mio portafoglio che sanguina. (Marco) Paolo da anni sognava di fare questo lavoro! Noi ci siamo conosciuti a Zelig l’anno scorso e lui mi ha detto: ’Sai che saresti un Sancho perfetto’? E io l’ho seguito. Eravate un po’ stufi dei soliti sketch? (Paolo) Avrei potuto ripetermi col solito cabaret e fare bei soldoni, ma non si può continuare solo così. Io trovo che qualsiasi attore, quando si dedica a un progetto in cui crede e che gli dia la sensazione di esistere per una buona ragione, è fortunato e non deve mollare. Io voglio fare almeno 20 repliche ogni anno del ‘Don Chisciotte’, considerare questo testo un work in progress e andare avanti, migliorando. (Marco) Io sono molto affezionato ai personaggi di Sturby o di Mikelino. Fin dai tempi di scuola facevo quello che prende in giro certi atteggiamenti, mi stimolava l’osservazione della realtà. Mi sono sempre sentito come un pittore quando vede un personaggio e lo dipinge: io vedo un personaggio e lo imito. Non lo faccio uguale ma come una caricatura. Amplifico e cambio alcuni tratti per reinventare, perché non ho mai fatto l’imitatore nel senso stretto del termine. Vi vedremo ancora sul palco assieme? E la regia? (Paolo) Sì, lavoreremo ancora. Devo ammettere che Laura Cantarelli, la nostra regista, si trova in difficoltà perché non è difficile dirigere me, che mi sento il regista vero e decido alla fine come agire. Mi piace il caos e ho sempre fatto cose che si frammentano, saltano, ho questo gusto un po’ perverso. Lei cerca di contenermi. Il ruolo di Francesca Censi, l’unica attrice in scena con noi e che è bravissima, potrebbe crescere e diventare più importante, penso. (Marco) Abbiamo intenzione di portarlo avanti! Vogliamo migliorarlo e lo riproporremo sicuramente anche l’anno prossimo, anche se saremo impegnati entrambi con il nuovo Zelig in televisione. Ci stiamo affiatando sul palco e l’operazione è stata positiva. Dopo il Ciak di Milano andremo nei teatri di Genova, Lodi, Gallarate e Aosta.